Appunti per una politica ecologica integrale

Pace

Così ho meditato a lungo sul significato della pace. la pace non proviene che dalla nascita dei figli, dalle mietiture, dalla casa finalmente riordinata. la pace viene dall'eternità cui giungono le cose compiute. Pace dei granai ricolmi, delle pecore che dormono, della biancheria piegata, pace della sola perfezione, pace di ciò che diviene dono e offerta a Dio, una volta ben fatto.

Poichè mi è parso che l'uomo fosse simile alla cittadella. Egli abbatte le mura per assicurarsi la libertà, ma non è altro che fortezza smantellata e offerta alle stelle. Allora comincia l'angoscia che nasce dal non essere.

Che l'uomo tragga la propria verità dall'odore del sarmento che brucia o dalla pecora che deve tosare. 

La verità si scava come un pozzo. 

Lo sguardo, quando si smarrisce, perde la visione di Dio. Ne sa di più su Dio quel saggio che si è tutto rannicchiato e raccolto e non conosce altro che il peso della lana, che non la sposa adultera aperta alle promesse della notte.

Cittadella, io ti costruirò nel cuore dell'uomo.

A. de Saint-Exupery, La verità si scava come un pozzo, Edizioni Terra Santa, Milano 2016, 28.


Mediazione

"Mediare significa far incontrare, congiungere, tenere insieme due realtà di per sé diverse; mediare dunque non è menomare la propria identità cristiana, significa invece collocare la propria identità spirituale nel momento storico, trovando e realizzando i valori temporali possibili in quel momento e in quel luogo, ma in vista di una loro maturazione escatologica" 

da Giuseppe Lazzati, Laicità e impegno cristiano nelle realtà temporali, AVE, Roma, 1985, p. 123. 

Per questa opera di mediazione al cristiano occorreranno due virtù essenziali: la prudenza (che è la virtù di chi dispone bene ciò che va fatto in ordine ad una fine buono) e il dialogo


Gioia

Chi insegna la gioia non deve far altro che essere egli stesso gioioso, ovvero essere la gioia. 

Se qualcuno gioisse per nulla e tuttavia provasse in verità una gioia indicibile, si avrebbe la miglior prova possibile che egli stesso è la gioia e la gioia stessa, come lo sono il giglio e l'uccello, i gioiosi maestri di gioia, che sono la gioia stessa proprio perché sono incondizionatamente gioiosi. Colui infatti la cui gioia dipende da determinate condizioni non è la gioia stessa, la sua gioia è nelle condizioni, è condizionata da esse. [...]
Il giglio e l'uccello sono essi stessi quel che insegnano [...]. Quel che insegnano è l'originarietà acquisita [...] che consiste nel fatto che il giglio e l'uccello possiedono quel che insegnano [...]. E l'originarietà acquisita nel giglio e nell'uccello è di nuovo la semplicità. Perché [...] il semplice è che il maestro sia egli stesso ciò che insegna. [...] Il loro insegnamento di gioia, che di nuovo la loro vita esprime, è con grande brevità il seguente: c'è un oggi che è, sì, un'enfasi infinita cade su questo è. C'è un oggi, e non c'è nessuna, proprio nessuna preoccupazione per il domani [...].
Che cos'è la gioia, che cos'è essere gioiosi? È essere davvero presenti a se stessi. Ma l'essere davvero presenti a se stessi è questo «oggi», è essere oggi, essere davvero oggi. Quanto più è vero che sei oggi, quanto più sei completamente presente a te stesso nell'essere oggi [...]. La gioia è il tempo presente [...]. Per questo il giglio e l'uccello sono la gioia, perché con il silenzio e l'incondizionata obbedienza sono fino in fondo presenti a loro stesso nell'essere oggi.
«Ma, tu dici, il giglio e l'uccello, per loro è facile». Risposta: non aggiungere alcun «ma». Impara invece dagli giglio e dall'uccello al punto da diventare completamente presente a te stesso nell'essere oggi, e così sarai anche tu la gioia. [...] Impara, o quanto meno comincia a imparare [...] che puoi vedere, pensa, puoi vedere; che puoi sentire i suoni, gli odori, i sapori; che puoi avere sentimenti. [...] Impara dunque dal giglio e impara dall'uccello che sono i maestri: esisti, sii oggi, e sii la gioia. [...]
È proprio la «forza» a non dover essere usata. Quel che deve essere usato, e incondizionatamente, è l'«arrendevolezza» [...].
E ci sarà per te un «oggi» che non avrà mai fine, un oggi in cui puoi diventare eternamente presente a te stesso. [...] Il giglio e l'uccello vivono solo un giorno, un giorno molto corto per giunta, eppure sono la gioia, perché, come detto, sono davvero oggi, sono presenti a se stessi in quest'«oggi». E tu, cui è concesso il giorno più lungo: vivere oggi, e oggi stesso essere in Paradiso, non dovresti essere incondizionatamente gioioso?"

(brani tratti da Soren Kierkegaard, Il giglio nel campo e l'uccello nel cielo, pp. 61-69).


Responsabilità

Responsabilità è l'atteggiamento più frequentemente invocato quando si parla di etica e specialmente a proposito di questioni che, come quella ambientale, hanno una dimensione sociale essenziale.

Già Max Weber aveva sottolineato la necessità, per la professione politica, di un'etica della responsabilità in tensione con l'etica della convinzione.

Più recentemente il tema «responsabilità» è stato ripreso da Hans Jonas, con il suo libro che ha suscitato grande interesse: II principio di responsabilità.

Un termine con cui si intende dare nome all'esigenza di farsi carico di tutte le conseguenze delle proprie decisioni, siano queste azioni oppure omissioni. Non solo ovviamente le conseguenze immediate o a corto raggio, ma pure quelle a lungo termine e a scala planetaria (ecco la novità), nel loro reciproco intrecciarsi. Recentemente abbiamo constatato come sono inscindibilmente intrecciate la questione della pace o della guerra e quella degli squilibri economici a livello mondiale, con la questione ambientale. E sono intrecciate in proporzione della loro gravità e della loro probabilità, specialmente se si tratta di effetti irreversibili, e tali sono spesso quelli prodotti sull'ambiente.

L'idea di responsabilità ha, però, altre implicazioni su cui dobbiamo riflettere.

Anzitutto, in negativo, questa idea possiede una valenza critica nei confronti di ogni semplificazione o assolutizzazione ideologica, e si pone quindi sia contro il fatalismo catastrofico, sia contro un ottimismo generico; in riferimento a quest'ultimo, il concetto intende denunciare come illusoria la pretesa di fare affidamento su meccanismi e processi oggettivi, in grado di garantire automaticamente, cioè quasi a prescindere dalle disposizioni morali soggettive, il continuo miglioramento delle condizioni di vita dell'umanità, siano esse la scienza e la tecnica, il mercato o, al contrario, la sua abolizione rivoluzionaria.

In positivo, il concetto significa riconoscere un ruolo determinante anche in ordine al destino della società e della civiltà alla libertà personale, non solo ai meccanismi.

Le disposizioni soggettive, gli atteggiamenti spirituali, la mentalità, lo stile di vita, il carattere, che plasmano l'identità personale, non sono realtà puramente private, e quindi scorporabili dalle questioni di rilievo pubblico.

La responsabilità è dote insuperabilmente soggettiva, ma nello stesso tempo è un bene socialmente prezioso. Non è solo interesse e compito dell'individuo coltivare una matura personalità responsabile; è pure interesse della società, perciò in un certo senso politico. Neppure questa personalità, infatti, si costruisce spontaneamente o automaticamente; piuttosto, richiede una costante opera di formazione o di educazione e anche condizioni sociali e politiche che la rendano possibile.

Forse, nella crescente distanza o addirittura nella polarizzazione che tende a crearsi tra individuo e società, tra privato e pubblico, tra coscienza personale e strutture sociali, occorre cercare le radici e contemporaneamente i frutti più inquietanti della questione ambientale.

Infine, l'idea di responsabilità mette in luce l'essenziale dimensione interpersonale e dialogale dell'esperienza etica. In essa si esprime la convinzione che la libertà umana è tenuta a rispondere delle proprie decisioni a qualcuno (rispondere-responsabilità). A chi risponde precisamente?

Certamente a tutti coloro con cui si è legati da un rapporto di solidarietà e che direttamente o indirettamente sono toccati nei loro legittimi interessi da tali decisioni. In tal senso, la responsabilità ha una dimensione universale nello spazio e nel tempo. Si estende non solo all'umanità del presente, ma pure a quella del futuro, alle generazioni che verranno e le cui condizioni di vita materiali e culturali dipenderanno dai comportamenti posti da noi, oggi, qui, adesso.

Più a fondo ancora, l'idea di responsabilità spinge non solo a estendere lo sguardo nello spazio e nel tempo, bensì a trascendere spazio e tempo. C'è effettivamente qualcosa di trascendente nell'idea di responsabilità, come del resto in ogni dovere morale. L'appello alla responsabilità è ineludibile, imprescindibile, non negoziabile. Questi caratteri manifestano che esso è il riflesso, a livello pratico, della condizione creaturale dell'uomo. Solo riconoscendo tale originario e costitutivo rapporto di dipendenza dal Creatore, la libertà umana conserva e realizza se stessa.

(tratto da Carlo Maria Martini, Non temiamo la storia, Piemme 1992) 


Rivoluzione


Progetto

Un pazzo si può riconoscere da sei cose: 

  1. collera senza motivo, 
  2. discorsi senza senso;
  3. cambiamenti senza progresso;
  4. domande senza oggetto;
  5. fiducia a sconosciuti;
  6. confondere nemici con amici.

(Saggezza araba)

Gioco

Si può scoprire di più su una persona in un'ora di gioco 
che in un anno di conversazione.
(Platone) 

"Secondo alcuni l'essere umano, giocando, ubbidisce a un gusto innato d'imitazione. Oppure soddisfa a un bisogno di rilassamento. O fa un esercizio preparatorio alla grave operosità che la vita esigerà da lui. O ancora il gioco gli serve da allenamento per l'autocontrollo. Altri ancora ne cercano il principio in un connaturato bisogno di causare o di essere capace di qualche cosa, o nell'ansia di dominare, o in quella di concorrere. Altri ancora considerano il gioco come un'innocua evacuazione di istinti nocivi, o come un necessario complemento di un'attività troppo unilaterale, o come l'appagamento, con una finzione, di desideri in realtà inappagabili e, in quanto tale, capace di conservale il senso della personalità. Si potrebbe assai bene accettare tutte le suesposte spiegazioni una accanto all'altra, senza con ciò incorrere in un'imbarazzante confusione d'idee. Ne consegue che tutte sono spiegazioni soltanto parziali"

Il brano è di Johan Huizinga, autore del famoso saggio Homo Ludens, che divideva i giochi in due grandi famiglie: la lotta per qualcosa (competizione) e la gara fra chi rappresenta meglio qualcosa (rappresentazione). 

Roger Caillois, ancora più sottilmente, ha diviso i giochi in quattro categorie corrispondenti ognuna ad un preciso e proprio bisogno psicologico: AGON (competizione), ALEA (caso), MIMICRY (travestimento, mimica, finzione), ILINX (vertigine e terrore) 

Ne derivano due posizioni principali, coesistenti, circa il gioco e la sua funzione:

  1. I giochi sono presentati come degenerazioni di attività adulte che hanno perso la loro portata originaria e sono decaduti, quindi, a livello di distrazioni anodine;
  2. Lo spirito ludico sta all'origine dello sviluppo delle culture. Stimola l'ingegno, la sottigliezza, l'inventiva, insegna la lealtà verso un avversario, insegna a costruire un ordine, a compiere un'economia, a stabilire equità.

I quattro postulati di papa Francesco

1. Il tempo è superiore allo spazio.

2. L'unità prevale sul conflitto.

3. La realtà è più importante dell'idea.

4. Il tutto è superiore alla parte.


Arte

Il maestro Hisamatsu Shin'ichi riassume le caratteristiche dell'arte giapponese come segue:

1. Asimmetria
2. Semplicità
3. Austerità ed elevazione spirituale
4. Naturalità
5. Libertà dall'attaccamento
6. Quiete


Globalità

La necessità di una considerazione globale e sistematica

E necessario elevarsi a una considerazione più generale della consistenza del problema ambientale, la quale renda espliciti i fattori sistemici che stanno all'origine della significativa moltiplicazione dei rischi all'ambiente prodotti dalla civiltà contemporanea, e proponga quindi i problemi di principio obiettivamente posti dalla complessiva direzione della trasformazione civile.

L'iniziativa civile dell'uomo sembra compromettere, in molti modi e in forme gravi, equilibri naturali dei quali invece la vita dell'uomo, e più precisamente la buona vita, ha invece imprescindibile bisogno. E l'iniziativa cui si fa riferimento è ovviamente quella produttiva, più precisamente, l'iniziativa tecnologica. In sintesi, possiamo affermare che si impone all'agire tecnico dell'uomo un limite che può essere qualificato, sotto aspetti diversi, come tecnico ed etico.

L'ecologia illustra la complessità dinamica dei diversi fattori che concorrono a produrre un'attitudine della terra a rigenerare sempre da capo le risorse alle quali attinge la vita dell'uomo. Il prodursi di tale effetto rigenerativo può essere significativamente turbato dall'iniziativa tecnologica, anzi tale turbamento si produce già. L'homo faber non può più contare su quella sorta di magia della natura che consentiva di considerare le risorse da essa poste a disposizione dell'uomo come inesauribili; deve invece deliberatamente occuparsi di fare i conti con possibili fenomeni di esaurimento e di inquinamento degli elementi.

La necessità in questione è, dunque, da un lato, tecnica, e dall'altro, di dovere morale.

 (tratto da Carlo Maria Martini, Non temiamo la storia, Piemme 1992) 


Valore

Valore è un termine che fa da coordinata fondamentale alle relazioni tra etica e ambiente. La dimensione soggettiva, indicata con «responsabilità», è infatti necessariamente correlata con quella oggettiva richiamata dall'idea di «valore».

Soprattutto se si riconosce la realtà esistente, il mondo intero nel suo complesso come un creato, occorre riconoscere che esso ha obiettivamente un senso o un valore. Non è realtà caotica, derivata dall'incontro del caso con la necessità, senza un principio e una fine, quindi senza un intrinseco significato. E piuttosto, originariamente, un cosmo che contiene un ordine, cioè un disegno plausibile e rivelatore di una «intenzione buona». No si tratta solo di una deduzione teologica, ma di un dato iscritto, sia pure confusamente e ambiguamente, nella nostra esperienza di ogni giorno, e accessibile all'occhio contemplativo, sempre più difficile in una civiltà che privilegia l'atteggiamento febbrile in cui il rapporto con la natura è massicciamente mediato dall'artificio.

L'occhio contemplativo dell'uomo biblico vede il mondo come una casa amorevolmente preparata da Dio per l'uomo, un segno della sua provvidente bontà e contemporaneamente della sua luminosa bellezza e della sua sapiente verità. Non c'è dubbio che sia una visione antropocentrica, nel senso che riconosce una differenza essenziale tra l'uomo e il resto del creato; l'uomo è il destinatario privilegiato della parola di Dio, solo lui ne è alleato e come l'immagine (parola-chiave della Scrittura nelle sue prime pagine). Da qui deriva la particolare dignità dell'uomo. Ciò non significa che la realtà non umana venga abbassata al rango di materia bruta, a semplice strumento il cui valore e senso sta nella sua utilità per l'uomo.

La rigida bipartizione della realtà in persone da un lato e in cose dall'altro (così familiare alla cultura moderna) non ha fondamento nella visione biblica e cristiana, e prima ancora nella stessa esperienza razionale. La realtà infraumana costituisce, invece, un universo vario e complesso, in cui ogni essere, in modo e misura differenti, è manifestazione della verità, della bellezza, della bontà di Dio, e quindi possiede un proprio senso, un valore intrinseco, una caratteristica dignità.

Anche a questo riguardo dobbiamo sfuggire alla tentazione delle ideologie riduttive e semplificanti, tentazione in cui si cade quando a un unilaterale antropocentrismo si oppone un biocentrismo o ecocentrismo indiscriminato e altrettanto unilaterale.

Il senso della differenza, cioè la capacità di percepire il valore specifico di ogni realtà, la sua caratteristica dignità, anzitutto ovviamente quella che compete all'essere umano, è condizione necessaria per una plausibile etica dell'ambiente.

La questione etica è essenzialmente un problema di discernimento della qualità, non tanto di incremento della quantità. E il problema ambientale la ripropone con particolare urgenza e gravità.

(tratto da Carlo Maria Martini, Non temiamo la storia, Piemme 1992) 


Umanità

«Che devono dunque fare i cristiani nella polis, oggi? Se devo dire la mia impressione, essa è che, per lo più, la risposta non è frutto di meditazione che investa il problema nelle sue profondità, vedendolo nelle sue connessioni con tutti gli altri problemi umani e perciò nel suo significato umano: per lo più si è spinti a rispondere da elementi o forze che ci tengono schiavi in una visione gretta di uomini e cose.
Ecco perché s'impone anzitutto di vedere chiaramente i fini della società politica; ma il fatto esige di stabilire i suoi rapporti con altre società, e di tutte con la persona umana, e però il problema si allarga ai rapporti tra naturale e soprannaturale. Solo infatti quando è veduto in questa sua totalità si fa possibile di stabilire con precisione e sicurezza il fine che come riferimento sicuro guiderà nel rispondere al quesito. E allora due distinti, anche se non divisi, aspetti del cristiano appaiono: il membro di una polis eterna e che agisce come tale, e il membro di una polis temporale, dalla prima non disgiunta ma ad essa orientata pur nell'autonomia di un fine suo da conseguire, il bene comune dei suoi membri, che anche attraverso ad esso all'eterna si congiungono.
Autonomia della politica (che non vuole certo dire dissociazione dall'etica): ecco una prima esigenza di cui i cristiani devono prendere coscienza abbandonando schemi passati, e in forza della quale sentano il valore umano della politica, come tale, e la sua forza di impegno».

(Giuseppe Lazzati, Esigenze cristiane in politica,
in «Cronache sociali», 1947, 4, p. 16).


Biodiversità


Comunicazione


Semplicità

Etica

Una questione etica e tecnica

La questione ambientale è questione sulla quale anche la chiesa ha una parola da dire, perché è questione etica, non soltanto tecnica. E tuttavia la risposta non è così semplice, per cui conviene procedere dal concreto all'astratto e non viceversa. Sul concreto ci si intende meglio ed è più facile trovare consensi sulla qualità degli apprezzamenti morali che le diverse situazioni raccomandano. Si evita in tal modo anche il rischio di lanciare ammonimenti etici sui quali tutti concordano e che poi, di fatto, rimangono lettera morta.

Di qui la necessità di chiarire i termini della questione tecnica. Pensiamo alla figura, che spesso ha assunto una denuncia come quella dei rischi connessi al buco dell'ozono o all'effetto serra o all'uso di concimi chimici e pesticidi. Ci sembra possibile rilevare una spiccata difficoltà dell'uomo della strada a farsi un'opinione sensata su tutti questi problemi. Quando poi accade che egli sia chiamato a decidere politicamente, magari attraverso referendum, si esprime assai più con i suoi timori che non con i suoi giudizi. Forse per questo si indicono con tanta facilità referendum su tali materie, dal momento che non è difficile raggiungere consensi plebiscitari intorno a timori. Però con i timori non si costruisce una politica.

Se è vero che sulle questioni ambientali occorre ascoltare anzitutto la voce, obiettiva e seria, degli esperti e dei tecnici, è altrettanto vero che questa voce è spesso incapace di farsi udire.

Chi ha potere e responsabilità deve, dunque, dare parola e peso ai tecnici, soprattutto chi ha potere e responsabilità in campo economico e produttivo. I tecnici hanno bisogno dei dati e dei mezzi necessari per effettuare quella ricerca scientifica, in molti casi ancora embrionale, e che però è indispensabile per chiarire la consistenza dei problemi ambientali via via sollevati.

C'è, dunque, un dovere, un impegno etico immediato e preciso relativo alle condizioni sociali ed economiche della ricerca e della comunicazione pubblica sui suoi risultati. Le possibilità, e quindi anche le responsabilità dell'iniziativa imprenditoriale e di quella industriale specialmente, a riguardo di tale profilo preliminare della questione ambientale, sembrano consistenti, concrete e pratiche.

(tratto da Carlo Maria Martini, Non temiamo la storia, Piemme 1992)


Potere

(nonviolenza)

  • Quarant'anni fa, mentre attraversavo una grave crisi di scetticismo e dubbio, incappai nel libro di Tolstoj Il regno di Dio è dentro di noi, e ne fui profondamente colpito.
  • A quel tempo credevo nella violenza. La lettura del libro mi guarì dallo scetticismo e fece di me un fermo credente nell'ahimsa. Quello che più mi ha attratto nella vita di Tolstoj è il fatto che egli ha praticato quello che predicava e non ha considerato nessun prezzo troppo alto per la ricerca della verità.
  • Fu l'uomo più veritiero della sua epoca. La sua vita fu una lotta costante, una serie ininterrotta di sforzi per cercare la verità e metterla in pratica quando l'aveva trovata. Non cercò mai di nascondere o attenuare la verità, ma la presentò al mondo nella sua integrità, senza equivoci o compromessi, senza lasciarsi mai scoraggiare dal timore di qualche potenza terrena.
  • Fu il più grande apostolo della non-violenza che l'epoca attuale abbia dato. Nessuno in Occidente, prima o dopo di lui, ha parlato e scritto della non-violenza così ampiamente e insistentemente, e con tanta penetrazione e intuito. Andrei ancora oltre e direi che l'eccezionale sviluppo che egli diede a questa dottrina sconfessa l'attuale interpretazione ristretta e mutilata datane dai seguaci dell'ahimsa in questo nostro Paese. [...]
    • La vera ahimsa dovrebbe significare libertà assoluta dalla cattiva volontà, dall'ira, dall'odio, e un sovrabbondante amore per tutto. 
  • La vita di Tolstoj, con il suo amore grande come l'oceano, dovrebbe servire da faro e da inesauribile fonte di ispirazione, per inculcare in noi questo vero e più alto tipo di ahimsa.
  • Mohandas Karamchand Gandhi, più conosciuto col nome di Mahatma, "grande anima", conferitogli per la prima volta dal poeta Rabindranath Tagore, è nato nel 1869 a Porbandar, India. Gandhi lottò per l'indipendenza indiana, organizzando boicottaggi contro le istituzioni britanniche in forme pacifiche di disobbedienza civile, seguendo i principi della nonviolenza. Per il suo impegno e il suo esempio, in India è conosciuto come il "Padre della Nazione". Il 30 gennaio 1948 Gandhi viene assassinato da un fanatico indù con tre colpi di pistola. 

Parresia

parreìa s. f. [dal gr. παρρησία «libertà di parola»]. - Schiettezza, franchezza; estens., libertà di parola eccessiva, sfrenata.


Compassione


Legge

Il divieto è necessario, ma la giustizia è avara: tutt'al più limita il male, ma non rende gli uomini migliori. Forse illude alcuni di essere tali. Si dice: "Non ho fatto niente di male". Ma il Vangelo interroga: Cosa hai fatto di bene, quale vero bene hai effuso per gli altri? a tale scopo la giustizia serve a poco. è necessaria una discontinuità, uno scarto, un passaggio ad altro senza protezione. Necessario è l'amore.

da Salvatore Natoli, Dizionario dei vizi e delle virtù, Feltrinelli, p. 73.


Bene comune


Ambiente

La questione ecologica

Non c'è dubbio che l'etica dell'ambiente è oggi uno dei temi dominanti e questa presa di coscienza si può bene esemplificare con le parole di uno dei più noti filosofi contemporanei di matrice ebraica, Hans Jonas. Il suo libro, Il principio di responsabilità, pubblicato nel 1979 e tradotto solo recentemente in lingua italiana, segna infatti una pietra miliare nella coscientizzazione dell'importanza dell'etica ecologica, e inizia così: «Il Prometeo, irresistibilmente scatenato al quale la scienza conferisce forze senza precedenti e l'economia imprime un impulso incessante, esige un'etica che, mediante autorestrizioni, impedisca alla sua potenza di diventare una sventura per l'uomo».

E facile notare come lo stesso titolo del libro si contrapponga a quello di un libro scritto nel 1959 da un altro filosofo ebreo, Ernst Bloch, Das Prinzip Hoffnung.

Mentre, vent'anni prima, il Bloch apriva quasi orizzonti indefiniti col principio speranza, Hans Jonas afferma che dobbiamo autolimitarci perché non abbiamo possibilità infinite. E aggiunge: «La consapevolezza che le promesse della tecnica moderna si sono trasformate in minaccia, o che questa si è indissolubilmente congiunta a quelle, costituisce la tesi da cui prende le mosse questo volume. Essa va al di là della constatazione della minaccia fisica. La sottomissione della natura, finalizzata alla felicità umana, ha lanciato, con il suo smisurato successo, la più grande sfida che sia mai venuta all'essere umano dal suo stesso agire. Tutto è qui nuovo, dissimile dal passato, sia nel genere che nelle dimensioni. Ciò che l'uomo oggi è in grado di fare e nell'esercizio irresistibile di tale facoltà è costretto a continuare a fare, non ha eguali nell'esperienza passata, alla quale tutta la saggezza tradizionale sul comportamento giusto era improntata». Definisce così la nuova qualità della riflessione etica, che si è imposta necessariamente in questi ultimi anni.

(tratto da Carlo Maria Martini, Non temiamo la storia, Piemme 1992) 


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